sabato 1 novembre 2008

Principi di “Laicità Scientifica”

Questo pezzo attento e accorato di Marco Piccoli sulla laicità segna il nuovo inizio del blog. Ricominciamo da un argomento che necessità in maniera particolare di essere trattato da più angolazioni


E’ difficile non ritenere che dietro allo scoraggiante arenamento, in Italia ma non solo, del dibattito sui temi che maggiormente meritano l’attenzione dell’opinione pubblica e della classe politica e intellettuale, vi sia una deliberata volontà di sabotarne lo sviluppo ed inibirne le potenzialità.
E’ opinione comune che il dibattito (confronto dialettico di intelligenze sul piano dei soggetti, e di argomentazioni su quello dei contenuti), in particolar modo su di una serie ben circoscritta di temi, abbia come condizione imprescindibile la predisposizione dei partecipanti alla riconsiderazione delle proprie posizioni.
Questo è accaduto per ragioni storiche e culturali. Superata l’epoca della contrapposizione frontale tra paradigmi ideologici (che sembrava essere una formula senza confini territoriali) e con l’incalzante ravvicinamento tra gli uomini, le culture, le realtà e le verità, che la tecnologia ci ha offerto, è andato sempre più diffondendosi quello che potremmo un po’ rozzamente definire “principio dell’opinione”.
Postulato per il quale, indipendentemente dalla solidità delle argomentazioni e delle inferenze che sorreggono una posizione personale, essa disponga, sempre ed in ogni momento, di una sorta di Deus ex machina che le consente di rifugiarsi dalla confutazione e che consiste, per l’appunto, nel proprio statuto di “opinione”, come tale, difendibile ad oltranza, anche a dispetto di una stridente evidenza contraria. Questo ha portato anche ad una sistematica confutazione (almeno del rango di fonte “certa”) delle tradizionali interpretazioni della Storia e addirittura in non pochi campi all’introduzione di vere e proprie teorie alternative (si pensi al revisionismo sulla storia della Resistenza o alle ipotesi meno accreditate sulle stragi negli anni di piombo)
A mio modo di vedere non è questo un fenomeno nato “isolatamente”. E’ piuttosto la degenerazione della risposta ad un’esigenza concreta, reale, quale è quella di salvaguardare le identità individuali dalla massificazione, o più precisamente, dalla identificazione esclusivamente tramite correnti d’appartenenza (che sia uno dei tanti “-ismi”, comun-ismo, radical-ismo, laic-ismo..). Nelle sue fasi più embrionali un semplice rispetto della posizione altrui non era certo un dato negativo.
Ma, al di là delle indagini sull’origine di tale costume, ne resta evidente (questo sì, al di là di ogni opinione) la conseguenza più disastrosa: la morte del dialogo in tutti i temi c.d. “eticamente sensibili” e in alcuni temi collaterali ma, potremmo dire, pregiudiziali, quale ad esempio, quello della laicità.
Il dibattito, ad esempio, sulla fecondazione assistita o sulle ingerenze vaticane nella vita politica oggi, presenta le stesse possibilità di successo (intendesi: soluzione condivisa della controversia) che avrebbe un dibattito tra un ateo ed un fedele sull’esistenza di Dio: nulle.
Una soluzione a questo empasse è prospettabile sul piano politico (quindi decisionale) solo se si restituisce a tale piano una sua autonomia ed indipendenza dalle istanze etiche e, più sommariamente, metagiuridiche.
La formula dello stato Laico (di cui si potrebbe individuare in Machiavelli un suo precursore) deve prevedere non solo la non coincidenza tra l’autorità politica e l’autorità religiosa / etica.
Affermare che uno stato è “laico” non significa accettare l’idea che le decisioni da esso promulgate possano risolversi in una congerie di contenuti che incontrino il minor dissenso generale e che, per forza di cose, finirebbe per sacrificare il proprio fine alla propria esistenza, compromesso inaccettabile.
Si è spesso detto (per confutare le posizioni, erroneamente ritenute anticlericali, che volevano la non intrusione della curia alla vita pubblica) che bisogna evitare di “secolarizzare” lo stato, lasciando germinare al suo interno le posizioni spontaneamente, rendendole libere di riscuotere consenso.
In realtà ciò che ci si aspetta da un’autorità forte di una risonanza globale, come la Chiesa, in un ordine idee che accetti un’accezione matura di laicità, è che riconosca la dimensione non prettamente strumentale della formula laica di una stato, ma il suo dovere di contemperamento delle esigenze più differenti di cui deve tenere conto.
L’indipendenza della “sfera” politica da quella “metapolitica” si risolve esattamente in questo: lungi dal considerarla una riedizione dell’antico motto “il fine giustifica i mezzi”, tale indipendenza non deve assumere i connotati di un’obliterazione etica; in altre parole, una decisione in un certo senso deve essere lasciata libera dalle etichettature (che spesso vanno sotto il nome di qualche –ismo) proprie di un ordinamento non giuridico né politico.
Tale non sarebbe stato, ad esempio, considerare l’operato del legislatore del 1978 sulla legalizzazione dell’interruzione artificiale della gravidanza una dichiarazione di indifferenza a quella tragica vicenda umana che è l’aborto.
Una lettura siffatta ignora completamente quello che era e rimane un contesto necessario ed ineluttabile: un contesto nel quale le donne, forti dell’appartenenza ad un paese con una consolidata civiltà giuridica e morale ed un forte senso di autodeterminazione, rifiutavano una qualsivoglia intromissione pubblica in una vicenda che, a torto o ragione, veniva considerata esclusivamente personale.
Il risultato? Scomparsa pressoché totale del fenomeno degli aborti clandestini, diminuzione complessiva del numero degli aborti superiore al 40%.
E’ solo alla luce di un laicismo, per l’appunto, “scientifico”, che si riesce a dare un senso a questi dati: laddove ha prevalso una scelta eticamente controversa, finanche discutibile, in ossequio ad un sano spirito di pragmatismo che ha contraddistinto l’approccio al problema, il problema stesso è stato combattuto in maniera soddisfacente.
Ora, non è interesse né di chi scrive né di molti altri negare alla Chiesa la sua libertà di parola. Contrariamente a quanto si pensa, chi è stato tacciato di “laicismo” (parola curiosa..) non chiede il silenzio da parte dell’autorità religiosa.
Chiede una cosa diversa: il riconoscimento dell’autonomia della politica dalle categorie etiche ed il suo asservimento esclusivo ai fini decisionali. Non essendo (al contrario di uno stato confessionale) la sua esistenza preposta alla realizzazione di un principio messianico o metafisico esso deve poter disporre di quei principi che a livello individuale appaiono (giustamente) cogenti.
Il cruccio della laicità in Italia ha una sola soluzione non violenta (metaforicamente) possibile: l’accettazione da parte dei partecipanti non istituzionali al dibattito, di un livello di ragionamento che tenga in massimo conto le esigenze concrete che il legislatore deve fronteggiare.
L’alternativa è, ahimè, sotto gli occhi di tutti: una congerie multiforme di “opinioni” intangibili in quanto tali, con solo la speranza di un contatto attraverso un vetro molto spesso.
Speranza.. per non dire illusione.


Marco Piccoli

1 commento:

Anonimo ha detto...

I miei complimenti a questa riflessione attenta e ben quadrata.
Purtroppo questi concetti sono ancora "giovani" e "avanguardistici" per le menti italiane;credo sarà ancora lungo il cammino che porterà a una vera laicità del nostro stato(ovviamente laicità intesa come termine che indica puramente un dato di fatto,e non un giudizio intrinseco)

Anto