Il caso del giorno, dibattuto da tutti i giornali, è quello che riguarda Marco Travaglio e le dichiarazioni fatte a Che tempo che fa su Renato Schifani. Non intendo discutere in se i fatti, tra l'altro, gia ampiamente illustrati da tutti i media nazionali; voglio invece parlare della comunicazione in Italia e di quello che si può o non si può dire. Poniamo che quello che asserisce Travaglio sia vero: non è doveroso discuterne affinchè i cittadini siano messi a conoscenza delle vecchie amicizie del neo Presidente del Senato? Non è necessario sapere quello che faceva in precedenza una persona cosi importante per il paese? In Italia sembra un delitto il solo porre domande all'uomo di potere, sia di destra che di sinistra. Grillo accusa la stampa di essere serva della politica e questo caso sembra dargli ragione. Nessuno ha indagato o chiesto chiarimenti all'onorevole Schifani e l'insabbiamento del suo, a quanto pare, torbido passato non ha indignato nessuno. Gli indignati sono i politici, anche quelli di opposizione ma non certo per il passato del "buon" Renato ma perchè Travaglio ha attaccato in maniera vile il Presidente del Senato "minando al dialogo" tra le varie forze politiche. Nei paesi civili le carriere politiche traballano per molto meno e i giornalisti sono i custodi dell'onesta della politica. Non si può sbagliare altrimenti si viene annientati. Nella nostra nazione, però, questo non esiste e se all'estero si cerca di nascondere fatti gravi che potrebbero danneggiare la propria figura politica qui si fa tutto alla luce del sole, tanto sarà la stampa a non fare le domande scomode di cui avere paura. Giornalisti come Travaglio andrebbero tutelati. La loro indipendenza è un bene per l'Italia. Il porre delle domande o segnalare situazioni gravi è necessario per la democrazia. Sarà dovere degli interessati negare e difendersi e solo quando sarà provata l'insussistenza della notizia attaccare "il vile" in questione.
Vi invito a leggere il blog di Di Pietro e di Travaglio sull'argomento
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