domenica 21 dicembre 2008
QUANDO L’OPINIONE SUPERA IL FATTO
Nuova riflessione di Marco Piccoli sulla politica italiana
E’ un fenomeno agevolmente riscontrabile ad ogni livello.
Credendo (da persona, come si dice, “di sinistra”, e dovendo in quanto tale, in questa sede, tributare per il mio allineamento il rispetto all’ordine di interventi deciso da chi di dovere) che la “politica”, in un’accezione generica, venga fatta, per l’appunto, ad ogni livello, il fenomeno in questione assume allo stesso tempo il connotato di sintomo e di sindrome.
Il fenomeno di cui sto parlando lo si potrebbe definire “formalismo cognitivo”: un pericoloso meccanismo per il quale la percezione delle cose finisce per sostituirsi allo statuto ontologico delle stesse. Nell’immaginario comune da sempre la politica è lo scenario perfetto per la proliferazione delle menzogne e della demagogia.
A mio modo di vedere oggi è riscontrabile qualcosa di leggermente diverso.
Le convenzioni linguistiche, che non costituiscono solo un’imprescindibile strumento di comunicazione, ma anche e soprattutto un espediente interpretativo, oggi paiono trascinate in una spirale di manipolazione autoreferenziale.
Si badi: non parlo di “mistificazioni” delle realtà; l’era delle bugie a scopi elettorali ha fatto il suo corso, vittoriosa. Ciò che mi preme di denunciare è piuttosto una prassi per la quale le singole interpretazioni dei fatti obliterano il fatto stesso, rendendolo qualcosa di più complesso di un semplice accadimento, e precisamente una tessera ad uso e consumo del mosaico di chi riesce ad accaparrarsela con maggiore velocità.
Di pari passo con la tendenza, di cui si è largamente discorso in “Principi di laicità scientifica” (vedi sotto), ad inserire forzosamente ogni opinione nel novero di quelle “sintomatiche”di una mentalità generale ed aprioristica (o ideologica), che va sempre sotto il nome di qualche “-ismo”, questa prassi linguistica ha sfregiato una sana idea di dialogo, facendo sfociare quella che in tempi antichi era detta retorica (rethorike teknè = arte del discorrere) in eristica (arte del battagliare a parole).
Si può attingere alla sconfinata riserva di esempi che i media ci offrono in ogni momento. Ultimamente nel Partito Democratico è scoppiata la “questione morale”: notate come la connotazione usata ottemperi magnificamente allo scopo prefissole; la “questione” come elemento genetico che dapprima sopito esplode con la sua aggressività rendendo necessarie delle contromisure. A nulla valgono nello specifico delle considerazioni così fredde e asettiche come quelle di una quasi - scienza detta “statistica”: in virtù della quale un partito con circa 700.000 tesserati ed innumerevoli amministratori sparsi lungo la spina dorsale della macchina burocratica tende per forza di cose a lasciarsi sfuggire più di un partito piccolo eventuali “mele marce”.
Certo parlare di una “questione” paga il dazio al sensazionalismo tutto italiano. E’ un’altra libbra di carne offerta ad un elettorato famelico e volubile.
Ma tant’è. Nel momento in cui una dicitura od un’espressione fanno breccia nei talk-show o nelle nostre conversazioni private ecco reso vano ogni tentativo di una riconsiderazione dei fatti stessi, tale è l’aggressività e la natura deontologica di tali espressioni. Come predicato spesso, ritengo che un miglioramento della qualità della nostra politica (non solo della classe dirigente, ma del nostro stesso, quotidiano, modo di misurarci con gli avvenimenti istituzionali, col mutare delle regole e delle consuetudini) passi necessariamente per una riconsiderazioni del linguaggio e delle categorie logiche utilizzate.
Senza una maturazione in questo senso, quel cieco scontro ideologico che ornava lo sfondo degli anni di piombo e della guerra fredda potrebbe ripresentarsi in altre, imprevedibili vesti.
giovedì 18 dicembre 2008
La Riforma della Giustizia
Valerio Pagnotta ci parla di Giustizia. Il caso dello "scontro delle procure" ha dato il via ha molte polemiche su un argomento sempre molto dibattuto
La lite tra le procure di Catanzaro e Salerno ha acceso un dibattito politico ampio tale che Berlusconi ha affermato che per riformare la Giustizia è necessario modificare la Costituzione, anche con la sola maggioranza. A prescindere dalla valutazione politica, la più negativa possibile, ciò che si vorrebbe modificare nella Carta Costituzionale sono gli articoli(i diretti interessati) che vanno dal 108 al 112, relativi al ruolo del Pm, la disciplina dell'ordinamento giudiziario attuata dalla legge ordinaria, al principio del giusto processo(art 111)...ebbene, a mio giudizio non è tanto una questione di forma assoluta, cioè il problema che si pone sulla Giustizia italiana non può essere ricondotto necessarimente a una riforma della Costituzione, bensì a un altro problema di natura sostanziale che può aver causato indirettamente le controversie tra procure, ossia: lentezza dei processi, mancanza di personale dipendente nei tribunali e nelle cancellerie, carceri insufficienti per i detenuti, nonchè il sussegurirsi di rivalità tra fazioni nel Csm, che fanno riferimento ai Partiti politici, violando moralmente il principio di indipendenza previsto dall'art. 104 Cost.
Quindi il problema non riguarda solo gli articoli della Costituzione, ma anche, secondo molti, una burocrazia processule determinata dai relativi Codici, che andrebbero riformati.
Allora, se si vuole riformare la Costituzione, e lo si dice da 10 anni, e nel dettaglio la parte relativa agli organi di giurisdizione, andrebbero riviste le parti relative ai gradi di giudizio, ma soprattutto, tema molto discusso dalla dottrina, l'obbligatorietà dell'azione penale, essendo che c'è chi propende per un sistema penale come quello americano, rivendicando il principio di certezza della pena, che in molti in Italia non viene applicato.
Una questione ben diversa è riformare la Costituzione, per quanto riguarda la strutturazione degli organi dello Stato, il federalismo fiscale desiderato dalla Lega con in aggiunta la riforma degli articoli sopra citati. Ma già all'esame della Commissione Affari Costituzionali rimane dalla scorsa legislatura quella "Bozza Violante", che viene rivalutata dall'attuale maggioranza come base di partenza. Aspettiamo di vedere i risvolti.
lunedì 15 dicembre 2008
Diritto di critica
Vincenzo D'Onofrio ci parla di diritto di critica. Questa nazione ne è provvista?
Viene da chiedersi se ha un senso la parola "critica" in Italia. Esiste un diritto di critica? Si può far notare il proprio dissenso? Dando uno sguardo alla politica no. Forse perchè l'opera "paradisiaca e sovrannaturale" del governo non comporta pareri contrari. Si sta operando bene e per questo bisogna aprire il cuore alla gioia, il portafogli per aumentare i consumi e sorridere a questa realtà cosi benevola. Se si fa notare che il portafogli è vuoto e che in questo periodo c'è poco da sorridere si è i soliti indegni comunisti. Personalmente ritengo che il criticare sia una caratteristica peculiare di una democrazia. Il confronto arricchisce la coscienza civile della nazione e fa si che il bene della res pubblica sia l'obiettivo da raggiungere insieme. Purtroppo l'Italia non è matura per questi discorsi. Lo scontro sociale, non solo in politica, è all'ordine del giorno. Non si parla con gli altri perchè sono i nemici, i cattivi, quelli che odiano. Da una parte e dall'altra si fanno lezioni morali all'avversario, si pretende di decidere le alleanze dell'altro, l'aggettivo più delicato per descrivere la parte opposta è indegno. Il governo ha avuto dagli italiani il compito di occuparsi della nazione per 5 anni. Sbaglierebbe però a non ascoltare le opinioni di una parte della popolazione che con il passare del tempo, e per determinati argomenti, potrebbe essere la maggioranza del paese. Inoltre i tempi non permettono lo scontro ad oltranza. Questo però non significa approfittare della situazione e realizzare riforme sbagliate nel modo o nei contenuti. Qui torna in ballo il diritto di critica. Le azioni del governo toccano tutti noi e la voce che vuole far notare l'errore che preso in tempo non è irreparabile deve essere ascoltata e tenuta in considerazione. Evitare lo scontro e diritto di critica sembrano due cose non compatibili, eppure lo sono. Almeno lo sono in paesi con forte senso civico. In paesi non come l'Italia
mercoledì 10 dicembre 2008
Ingerenze e comandi
Riflessione sull'attuale situazione politica italiana di Marco Galice con un occhio di riguardo al rapporto Stato-Chiesa
Tre mesi di mobilitazioni ininterrotte: studenti, insegnanti, genitori e presidi in piazza a manifestare contro i tagli alla scuola pubblica; manifestazioni su manifestazioni, oltre un milione in piazza a Roma nello sciopero dello scorso 30 ottobre e altri svariati milioni in tutte le principali città italiane; cortei, sit in, scuole e università occupate. Niente di tutto questo, come noto, è bastato a far recedere di un solo millimetro il Governo dai tagli di 8 miliardi di euro previsti per la scuola pubblica nei prossimi tre anni; al di là delle false e populiste dichiarazioni di dialogo (quale?) del Ministro Gelmini, infatti, nemmeno un centesimo di euro è stato ripristinato per la pubblica istruzione nella prossima manovra Finanziaria. Finché ieri mattina è bastato che uno sconosciuto (ai più) Monsignore, tale Bruno Stenco, direttore dell’ufficio Cei per l’educazione, alzasse un po' la voce, si lamentasse dei tagli governativi di 130 milioni di euro alle scuole paritarie, minacciando manifestazioni di piazza, perché il granitico, imperforabile, imperturbabile, irremovibile Governo Berlusconi si sciogliesse come neve al sole, calandosi letteralmente le braghe al cospetto dello sconosciuto ma evidentemente autorevole lamento proveniente dal Vaticano. Tanto che appena un'ora dopo tale grido di dolore, velato invero anche da un po' di ricatto, il Sottosegretario all'economia Vegas si è precipitato a rassicurare il Vaticano informando che in un batter d'occhio, in barba ai tempi biblici delle discussioni di bilancio, i 130 milioni di euro per le scuole paritarie erano stati immediatamente ripristinati; ne mancano all'appello 10 milioni in realtà, ma tutto sommato in tempi di crisi ci si può anche accontentare. Possibile che sia accaduto tutto ciò? Possibilissimo, perché siamo in Italia, Paese in cui esattamente da 148 anni l'ingerenza della Chiesa negli affari di Stato è pressoché quotidiana. Certo fa specie constatare come la semplice dichiarazione a mezzo stampa di uno sconosciuto Monsignore abbia ridotto a insignificante spazzatura il grido di protesta di milioni di studenti e insegnanti delle scuole pubbliche, annichiliti e strapazzati dall'autorità e dall'influenza di un semplice rappresentante del Vaticano. Tutto ciò mentre, a proposito di scuola pubblica, lo Stato decide di mandare a casa nei prossimi 3 anni 80.000 insegnanti di italiano, storia, geografia, matematica, musica, scienze, arte, tecnica ed educazione fisica senza tuttavia eliminare una sola cattedra di religione, i cui insegnanti continueranno ad essere assunti senza concorso dalle Curie locali ma pagati con i soldi dello Stato, che ritiene evidentemente il futuro occupazionale dei docenti di religione più importante di quello dei professori di altre materie; pagando, pertanto, insegnanti che magari in qualche caso entreranno nelle classi per dire pure agli studenti che è giusto non volere la depenalizzazione dei reati contro gli omosessuali, acconsentendo così anche alla loro pena capitale. Tutto ciò perché da 79 anni siamo ancora schiavi di un famigerato concordato sottoscritto niente meno che da Benito Mussolini, che come noto barattò il riconoscimento della religione cattolica in cambio del ricoscimento dello stato fascista e dei suoi crimini da parte del Vaticano. Qualcosa di cui andare molto fieri evidentemente, tanto che nel 1984 questo scellerato Concordato, anziché essere quanto meno ridimensionato, fu addirittura consolidato dal poi pregiudicato e da molti riabilitato Bettino Craxi. E tutto questo, volendo andare ancora più a ritroso nel tempo, perché quando il 20 settembre del 1870 i Bersaglieri aprirono la famosa breccia di Porta Pia, completando l'Unità d'Italia, papa Pio IX si dichiarò niente meno che prigioniero dello Stato italiano, dando il via a 148 anni di intromissioni, ingerenze e comandi. E' possibile? Certo che sì, perché siamo in Italia, paese politicamente prigioniero dello Stato Vaticano.
Marco Galice
lunedì 8 dicembre 2008
Malaffare
Oggi ci scrive Valerio Pagnotta. L'argomento è il "malaffare" e la richiesta di Veltroni ai segretari regionali del Pd di evitarlo
Veltroni ha detto ai segretari regionali del Pd di far sì che il partito cerchi sempre di stare lontano dal malaffare. Concordo al massimo, ma ritengo che vi siano due tipi di malaffare: uno più evidente, cioè quello che si manifesta sottoforma di criminalità organizzata, l'altro un pò più invisibile che consiste nella logica vera e propria del malaffare che si inserisce nel tessuto sociale, convinto che quel modo di passare porti solo a risultati positivi. E molto spesso questo tipo di logica in politica va avanti quando al posto di confrontarsi liberamente con le persone, si preferisce il metodo clientelare evitando di sprecare tempo e delegando ad "altri" la raccolta dei voti, portandosi in questo modo a contatto con il primo tipo di malaffare. Ebbene ciò che si è detto sopra non è altro che uno dei due modi per ottenere consensi, ossia il clientelismo politico, che si contrappone invece a un metodo più diretto e senza intermediari, che sarebbe il radicamento territoriale, predicato talmente da tanti che gli stessi non lo applicano.
Tutti e due questi modi di fare politica sono confluiti nel Pd, poichè facenti parte della tradizione politica dei due partiti che lo compongono.
Si parla di Questione Morale? la si vorrebbe riesumare? ahi quanto aspro, forte e attuale rimane questo termine di matrice berlingueriana, così tanto che si è dileguato come il radicamento territoriale, e così via via quella tradizione del far politica scomparirà nello scenario italiano, lasciando spazio a qualunquisti, incompetenti e ignoranti che non hanno spina dorsale, litigandosi per la spartizione di poltrone.
Per concludere: non si può pensare di ricambiare la classe dirigente dalla società civile se questa non si forma in un Partito che dovrebbe stabilire i criteri di selezione non in base ad amicizie, bensì a meriti acquisiti in campo politico e sociale e dando una prospettiva di visione della società migliore di quella che abbiamo oggi, bigotta e conservatrice.
sabato 6 dicembre 2008
Riabilitazione e condanna
Per il pezzo di oggi ci siamo nuovamente affidati a Luca del blog "Politicamente Scorretto". Il suo sguardo sull'estero ci porta ad una decisione del parlamento svizzero da lui non condivisa. Una decisione del genere avrebbe comportato polemiche roventi anche in Italia dove l'argomento "Storia" è sempre attuale e non troverà mai una convergenza di opinioni.
Il Consiglio nazionale (camera bassa del parlamento svizzero) ha deciso con 130 voti favorevoli, 32 contrari e 13 astenuti di riabilitare i circa 800 svizzeri che hanno combattuto a fianco dei repubblicani spagnoli nella guerra contro il franchismo.
Politicamente Scorretto rende onore ai consiglieri di area UDC (Unione Democratica di Centro, partito di centro-destra) che hanno invece detto no alla riabilitazione di 800 servi svizzeri di Stalin, che in Spagna si sono resi complici se non autori delle trucidazioni di decine di migliaia di oppositori (alla faccia della democrazia che volevano riportare), di almeno 7000 assassini di religiosi, di atti di violenza contro migliaia di religiosi e di giovani cattolici, rei unicamente di professare la loro fede o di avere un'idea politica differente. Questi sono i padri e i nonni degli attuali antifa, questi sono quelli che 130 consiglieri nazionali considerano dei volontari che hanno combattuto in nome della democrazia.
giovedì 4 dicembre 2008
Emigrazione
Giuseppe Arlacchi oggi parla di emigrazione. Questo problema è messo un po' in secondo piano dal problema contrario: l'immigrazione. L'Italia però non può permettersi di sottovalutare l'emigrazione che ormai, da più di un secolo, sempre sotto forme diverse, caratterizza questo paese. Arlacchi, che possiamo definire di destra, fa una analisi condivisibile ed oggettiva
Parlare ancora oggi, nel 2008, di emigrazione non e’ affatto anacronistico: il tema dell’emigrazione rimane infatti estremamente attuale anche a fronte del dilagare del suo “alter ego”, l’immigrazione. Oggi, dopo più di centocinquanta anni, l'emigrazione continua pur se nel suo naturale cambiamento a far partire, soprattutto dai paesi del Sud, migliaia di giovani speranzosi di trovar lavoro nella nuova Europa, oltreoceano o semplicemente al nord Italia. Oggi, infatti, fermo restando che i flussi in uscita dall’Italia si sono sensibilmente ridotti rispetto agli anni Settanta (l’ultimo periodo di una certa rilevanza per l’emigrazione tradizionale), ancora 50.000 giovani, in media, abbandonano il Bel Paese ogni anno.
Ma, trascorso ormai quasi un secolo dal boom di emigrazioni dovute alla ricerca del “sogno” americano, qualcosa e’ cambiato nella mentalita’, nella concezione, ma soprattutto nella necessita’ dell’emigrato?
Allora partivano grandi navi, da porti “storici” come Palermo, Napoli, Genova, con la speranza in chi vi “abitava” lungo la traversata, di vivere dignitosamente, costruire un futuro sereno per se’ e per i propri figli; e con la speranza, ultima a morire, di non soffrire la lontananza dalle proprie terre, dai propri cari. L’emigrazione italiana aveva conosciuto, decenni fa, flussi migratori cosi’ intensi e cosi’ variegati per provenienza territoriale e sociale, da rappresentare nel mondo uno dei tratti piu’ peculiari e caratteristici del Paese.
Oggi sono cambiati i mezzi (l’aereo o il treno sono mezzi un po’ piu’ comodi di allora), gli obiettivi professionali (gli emigranti di oggi sono giovani in possesso di titoli di studio di grado elevato e qualifiche professionali di alto livello, non parte solo la manodopera operaia o i futuri ristoratori), ma identica e’ rimasta la necessita’ di dover cercare “fortuna” in una realta’ socio/politica lontana dalla terra d’origine. Ed e’ questo l’aspetto piu’ preoccupante della vicenda: la continuita’ del fenomeno migratorio nel corso dei decenni denota la drammatica situazione nella quale l’amato Sud continua a versare, senza che la classe politica si impegni in alcun modo a porre un freno alla decadenza. Gia’, perche’ il fenomeno delle emigrazioni non puo’ che andare di pari passo con le vicende politiche dei nostri Governi…. incapaci di stare al passo con le immense capacita’ che il lavoratore sud-italiano (duro, tenace, che non si stanca mai) ha da sempre saputo esprimere nei piu’ disparati settori dell’agire umano.
martedì 2 dicembre 2008
San Babila un anno dopo
Giuseppe Cirelli ci parla della nascita del PDL e di cosa è successo alla destra italiana
Risale ad un anno fa il famigerato “discorso del predellino” con il quale Silvio Berlusconi fondò da solo un nuovo partito assegnandogli il nome di “Popolo delle libertà”.Dopo le dichiarazioni di esponenti di AN che si dicevano sgomenti per il modo e la velocità con la quale fondare un nuovo partito e che lasciavano presagire una clamorosa rottura nel centro- destra, in pochi giorni tutto tornò alla normalità: AN rispose “obbedisco “al comando berlusconiano e con un agile dietrofront aderì al progetto pdl. Qualche maligno all’epoca parlò di decisione opportunistica, visto che il governo Prodi sarebbe sicuramente caduto presto e il centro destra, se fosse rimasto compatto, avrebbe avuto le elezioni in tasca. Quindi valeva veramente la pena rischiare di perdere le elezioni per rimanere attaccati ad un formalismo che non digerisce i predellini?Evidentemente no, come confermarono i fatti di Aprile.
Ma in realtà cos’è che è successo nella destra, cosa rappresenta questo “popolo delle libertà”?Rappresenta una conferma formale di qualcosa che sostanzialmente esiste dal ‘94, ovvero la supremazia del populismo berlusconiano, fatto di nomi di partito demagogici, gaffe internazionali, attacchi a tutti i centri di potere in cui questo non sia detenuto da Berlusconi, a scapito d’ideologie di una destra che si accontenta di un ruolo secondario, costretta a scusarsi, ad arrossire quando le si chiede di commentare le sparate del “grande capo” o le uscite poco patriottiche di qualche leghista. E ad un anno da quel discorso nulla sembra essere cambiato: mentre impazza la crisi economica,la soluzione sembra essere contenuta in una strana carta di credito. Una sorta di “bread card” del nuovo millennio (o, per meglio dire, del nuovo ventennio) definita “social card” contenente una quarantina di euro da usare per fare la spesa. Bene. I soliti maligni di cui sopra hanno parlato di ennesimo spot pubblicitario di questo governo: del resto innumerevoli sarebbero stati i modi per concedere questi 40 euro, lasciandoli in busta-paga ad esempio. Ma chi se ne sarebbe accorto? Nessuno, cosi come nessuno si è accorto di quella quattordicesima concessa dall’avarissimo governo Prodi.
Ma questo governo è differente, conosce i suoi polli. Sa vendere il fumo e fregarsi l’arrosto, come insegna Di Pietro.Sa che gli italiani vanno trattati da pubblico televisivo. Gli italiani hanno bisogno del populismo. Gli italiani si meritano Berlusconi. Questo lo sanno bene anche quegli esponenti di AN che inizialmente rimasero perplessi di fronte allo spettacolo di piazza San Babila. Fin quando ci sarà lui, l’unica strada per governare è questa. Bisogna tenere duro, occorre continuare ad arrossire.
domenica 30 novembre 2008
Il pentapartito, il benessere e il progresso
Oggi scrive sul blog Marco Galice. la sua è un'accurata e personale analisi storica su alcuni aspetti del nostro paese
Il Presidente Berlusconi, si sa, è persona di travolgente e irrefrenabile ironia. E così qualche giorno fa, dal palco di un comizio elettorale in Abruzzo, ha voluto far sfoggio nuovamente della sua proverbiale capacità comica: “Nel 1994 la magistratura iniziò un'azione rivolta verso i cinque partiti democratici che, pur con molti errori, erano riusciti a garantire per 50 anni benessere e progresso".
Una battuta di quelle che fanno davvero sbellicare dalla risate, forse più del cucù alla Merkel. Ma su cui, casomai avesse invece pronunciato queste parole seriamente, vale la pena spendere qualche riflessione.
La prima riguarda l’errore e la confusione storica madornale di Berlusconi quando riconduce il benessere e il progresso garantiti all’Italia per 50 anni ai “cinque partiti democratici”, meglio noti come “pentapartito”, anziché, come invece è accaduto, al sistema istituzionale italiano fondato sulla Repubblica e la Democrazia. Sono queste infatti che hanno garantito benessere e progresso e non il contrario. Perché proprio da un sistema politico che ha visto chiaramente protagonisti, responsabili o comunque conniventi molti uomini di quei “cinque partiti democratici” si sono generati tanti di quei mali hanno messo fortemente in discussione questo “benessere” e questo “progresso”.
Non è un’eresia, infatti, ipotizzare ad esempio che le tante stragi di Stato (Italicus, piazza Fontana, piazza della Loggia, stazione di Bologna ecc) siano state successivamente coperte o insabbiate da uomini molto vicini se non organici ai “cinque partiti democratici”, così come non è un’eresia ipotizzare che dietro all’organizzazione clandestina Gladio, voluta per contrastare l’espansione anche democratica del comunismo in Italia, si celassero sempre uomini dei “cinque partiti democratici”. E’ invece un fatto accertato che alla loggia massonica P2, che teorizzava una evidente sovversione dell'assetto socio-politico-istituzionale, hanno aderito fior di politici dei “cinque partiti democratici”, oltre che, ma guarda un po’, lo stesso Silvio Berlusconi.
E’ un fatto accertato che la criminalità organizzata, e in particolare la mafia, ha avuto stretti legami di connivenza con numerosi esponenti dei “cinque partiti democratici”, come dimostrano in particolare le vicende dei vari Salvo Lima e Vito Ciancimino. La magistratura ha anche accertato che lo stesso Giulio Andreotti, pluri-presidente del Consiglio italiano, prima degli anni 80 ha avuto collusioni con la mafia siciliana ma, come noto, l’attuale senatore a vita non è stato condannato poiché il reato è caduto in prescrizione.
E’ un fatto ancora più accertato che, soprattutto negli anni ’80, i “cinque partiti democratici” hanno introdotto in Italia, a tutti i livelli istituzionali, una pratica politica basata sull’illegalità e la corruzione, attraverso l’ormai famigerato uso delle tangenti accertato dalla magistratura, in primis dal Pool di Mani pulite, attraverso sentenze ormai definitive. E’ un fatto ormai accertato che proprio questa corruzione e un sistema politico incontrollato hanno generato negli anni ’80 quel pauroso deficit dello Stato che ancora oggi ci portiamo dietro e che ha avuto per responsabili principali Governi e Ministri dei “cinque partiti democratici” a cui aderivano, direttamente o indirettamente, la stragrande maggioranza degli attuali deputati e dirigenti di Forza Italia e una consistente parte di quelli di Alleanza nazionale. Lo stesso Berlusconi, forse per pudore, difficilmente per riservatezza, non ha mai voluto dichiarare per quali partiti abbia votato fino a prima della sua discesa in politica nel 1994; è arduo pensare tuttavia che abbia votato per il Partito comunista. Le leggi del Governo Craxi a favore delle sue emittenti televisive sono in ogni caso fatti più che noti.
Tre, a mio avviso, le considerazioni finali. Guai a omologare gli “errori”, come riconosciuto dallo stesso Berlusconi, di vari esponenti dei “cinque partiti democratici” con l’onestà, la passione e l’impegno profusi per il bene del Paese da dirigenti ed attivisti di quegli stessi partiti. Guai a considerare i “cinque partiti democratici” esenti da pesanti responsabilità su tutti quei fatti che hanno messo seriamente in discussione “il benessere e il progresso” dell’Italia. Guai a ritenere che chi ha voluto contrastare quelle storture, quella corruzione, quella degenerazione antitetiche alla Democrazia sorte all’interno di quei “cinque partiti democratici” non abbia reso un servizio al Paese e non abbia contribuito fortemente al suo “benessere” e al suo “progresso”. Perché in caso contrario il parallelo storico con tutte le peggiori forme di dittatura consumatesi nel mondo, in cui la magistratura è stata ritenuta un organo destabilizzante da imbavagliare, sarebbe assolutamente innegabile.
Marco Galice
mercoledì 26 novembre 2008
AD OGNUNO IL SUO CROCIFISSO
Un giudice del Tribunale di Vallalolid, Spagna, proibisce l’esposizione del crocifisso nelle aule e nei luoghi comuni di una scuola pubblica,imponendone la rimozione. “Libertà di religione e di culto, carattere laico e neutrale dello Stato”, questa la motivazione del provvedimento. E la polemica si riapre anche in Italia riproponendo antiche divisioni tra laicisti,laici e clericali.
Un approccio al problema che tenga conto della pluralità delle credenze e dei culti porta a due strade, entrambe percorribili e percorse: quella del laicismo, cioè proibire l’esposizione di tutti i simboli religiosi ( dallo Chador al Bourka, dal Foulard al Crocifisso); quella della laicità, cioè consentire a tutti di manifestare liberamente il proprio credo in un’ottica di rispetto reciproco.
Ma per amore della coerenza non se ne può considerare una terza ( che taluni laicisti pure percorrono) che calpesti le religioni tradizionali invocando una interpretazione ampia della laicità solo per i culti minoritari.
Eppure io, cattolico, non mi sento minimamente offeso quando incontro una ragazza col volto coperto dal Hijab, o dal fatto che la mia università riconosca festività ebraiche o di altre religioni. Mi sarei sentito offeso invece a non vedere nella mia aula alle elementari il Crocifisso così come sarei stato al fianco di una ragazza islamica se le avessero proibito di entrare in classe per via del suo Bourka.
Potrebbe allora sostenersi che nessuno proibisce di portare con sé un crocifisso, altra cosa invece è l’ esposizione in una scuola pubblica. Quasi l’intangibilità dell’aggettivo pubblico, qualcosa che per rendersi super partes deve per forza essere privo di colore, di lineamenti, di forma. Ma così non è. Il pubblico è sì super partes ma è anche lo specchio di una società con i suoi costumi, i suoi usi, la sua storia. E una religione è parte integrante della cultura di un popolo.
La fede è amica dell’uomo, parte di sé e la storia non molto lontana ( per es. Urss) è testimone del fallimento dei regimi che hanno provato ad annientare un credo e a ridurlo a fenomeno puramente interiore.
Oggi i tempi per una “nuova costruzione degli Stati Uniti d’America ” sono maturi. La globalizzazione porta con sé troppo spesso arrivismo e individualismo. Uno Stato che voglia affrontarla senza limitarsi agli aspetti meramente economici ha bisogno di coinvolgere anche le religioni nella costruzione di un humus di valori dei quali il rispetto sia la premessa e la solidarietà il punto d’arrivo.
lunedì 24 novembre 2008
"Ora posso comunicare più chiaramente: sono muto!"
...Eccoci ancora una volta a doverci scontrare con l'ennesimo increscioso caso che fa assurgere a protagonisti assoluti del dispiegarsi settimanale pensieri e parole che, se posti su una qualsiasi bilancia anche tarata così incredibilmente di tanto al di sotto dell'esatta unità di misura, non potrebbero risultare diversamente dall'esser macigni! Un fardello così grande quanto, a parer mio, grave...ai limiti del triviale! Frasi queste che, anche se di certo da tanti più volte espresse nel corso di pomeriggi trascorsi a disquisir di tutto e di nulla in piacevole compagnia, oppure più semplicemente da molti fatte proprie seppur magari -causa la loro valenza e severità- mai apertamente pronunciate, in ogni caso MAI potrebbero comunque trovare fondamento di legittimazione per una loro pubblica dichiarazione in questa collettiva e numerosa condivisione da parte di buona fetta del sentimento popolare.
Espressioni troppo, sin troppo forti. Parole simbolicamente ben più taglienti di lame affilatissime; parole che, per il loro significato, i risvolti, i ricordi e le immagini che evocano e cui rimandano, risultano letali al pari di obici pronti ad esser esplosi per la già premeditata carneficina.
E sì...perchè di violenza o quanto meno di azzardato, gratuito ed irresponsabile attacco dialettico, al confine con l'ingiuria, trattasi se ci si riferisce allo "slogan" con cui l'On.Di Pietro ha sibillinamente aggettivato il Primo Ministro: "Berlusconi è un nazista...il Cavaliere, nei confronti dei suoi avversari, si comporta come Hitler..". Questi i titoloni sulle prime pagine dei giornali nazionali e sui più importanti quotidiani stranieri; queste le parole riproposte da tutti i network e mezzi di informazione televisivi europei e non solo.
Che figura! Che figuraccia! E' imbarazzante pensare alla guerra mediatica mossa dal leader dell'Italia dei Valori contro il nostro, il SUO, Presidente del Consiglio. Una battaglia condotta con mezzi ed armi tanto improprie quanto nocive per l'immagine e la dignità del Paese.
E' la lotta dell'incoscienza. Potrà sembrare eccessivo -e sicuramente davvero lo è, a parer mio- ma non ci sarebbe da stupirsi se, in questo clima acceso di tensione, si etichettassero le parole incriminate quali estrinsecazione di una sorta di "terrorismo della parola"!
Già, perchè è davvero inspiegabile di per sè l'utilizzo di una simile terminologia; diventa imbarazzante nel considerare che per il brillante artefice di simile stigmatizzabile frasario (che voglio ancora una volta ricordare essere un Onorevole della Repubblica) ciò sia stato possibile ed in modo così naturale senza pensare neppure al carico immenso ed immane che quell'epiteto avrebbe inesorabilmente portato con sè nel qualificare il suo destinatario. Un oltraggio -dirò di più- non soltanto diretto al Premier, infelicemente accomunato ad una figura che terrore, morte e follia immediatamente sussurra al pensiero di quanti odono il nome del Fuhrer, ma anche, penso, rivolto di riflesso ai cittadini italiani tutti (lui stesso compreso!!) che vengono dall'ex P.M. equiparati a sudditi impotenti in balìa delle voglie illusionistiche e megalomani di un Reich, oggi "tricolore", dal quale si è intrappolati, inermi, con le catene della paura silente e dell'impotenza!
Il tutto è francamente inaccettabile. Inaccettabile è l'accusa di un rappresentante del popolo nei riguardi di un qualunque soggetto, sia esso privato che pubblico, quando questa risulta carica di strascichi, effetti e logiche accezioni che, esulando da ogni norma di sensata civiltà ed educazione, sconfinano addirittura nell'universo in cui il buon gusto ed il rispetto nei confronti delle Istituzioni e, conseguenzialmente, dell'elettorato attivo che da quest'ultimo è amministrato per suo maggioritario mandato, cedono il posto alla condotta scriteriata unitamente alla mera offesa ad personam.
Invettiva questa che se probabilmente vendicativa (frutto presente di passate promesse o proposte sfumate nel tempo perchè, seppur tanto sperate, mai viste poi concretizzarsi), sicuramente nell'odierno è spinta da invidia, insoddisfazione e bramosia di protagonismo. Infatti pesa e molto -e non faccio fatica a crederlo- all'On. molisano, l'esser inquadrato dalle telecamere dei vari notiziari nazionali e stranieri mentre assieme ai propri fedelissimi si è costretti ad occupare le -quantitativamente, a dirla tutta, ben poche- poltrone del settore riservato in Parlamento ai gruppi politici di minoranza, preso da un lato da una irrefrenabile smania d'esser sempre e comunque la voce fuori dal coro e, contemporaneamente, sempre intento dall'altro ad affascinare, ammaliandoli con i propri canti, i timpani di quanti solo pochi mesi or sono gli si affiancavano sostenedo il suo simbolo nella corsa elettorale e che, invece, ora non si lasciano più sedurre dalle note di questa confusionaria ed indisponente "novella sirena", essendo quasi costretti a rifiutarle per i continui imbarazzi e gli scompigli che puntualmente il vecchio ed oggi disconosciuto alleato riesce a creare con puntuale ciclicità settimanale!
Non si può parlare, riferendosi al caso in esame, di semplice caduta di stile! Neppure di ennesima "gaffe" di quello che può tranquillamente annoverarsi tra i protagonisti del pool di Mani Pulite!
Il mio augurio è che il simpatico e vulcanico Antonio possa aver esternato simili suoi pensieri, semplicemente perchè ancora impegnato in uno dei tanti suoi compiti ammaliatori; perchè reduce dall'ennesima sua impresa fatidica che lo fa, armato di bastone e di carota, assurgere ancora una volta a protagonista di scazzottate e riappacificazioni subitanee con gli amici-nemici del PD. Preferisco pensare che le sue parole siano state proferite in uno stato di stanchezza e appannamento! Solo così riuscirei a frenare il mio sdegno, o almeno tenterei di farlo: solo così potrei forse pensare di addolcire l'idea amarissima che ho maturato nei suoi riguardi.
Che le parole possano sempre esser soppesate!
Che le frasi non divengano armi di distruzione e gratuito accanimento!
Mi auguro quindi che l'ex Ministro delle Infrastrutture possa proporsi, grazie a redenzione derivante da pronte ed opportune pubbliche scuse, carismatico leader di un movimento politico che non richiami soltanto nel suo simbolo e nel proprio nome identificativo il mero concetto dei "Valori", ma che, in vero, possa concretamente prevedere questi ultimi quale progetto cui aspirare e da cui esser illuminato.
sabato 22 novembre 2008
Immigrazione all'italiana
giovedì 20 novembre 2008
E GIOVE CI IMPOSE DUE BISACCE
Oggi Amalia Stovanni ci da la sua personalissima idea sulla vicenda Carfagna-Guzzanti. La figura del ministro è stata al centro di numerossisime critiche soprattutto dopo le dure parole della comica.
“Giove ci impose due bisacce: ci mise dietro quella piena dei nostri difetti e davanti, sul petto, quella con i difetti degli altri. Perciò non possiamo scorgere i nostri difetti e, non appena gli altri sbagliano, siamo pronti a biasimarli” (Fedro)
Ho deciso di rendervi partecipi della mia riflessione, dopo aver seguito –tramite internet e media in generale – le diatribe comico\satirico\politiche a cui alcuni componenti della famiglia Guzzanti hanno dato vita in questi mesi; non sono passati inosservati alla mia attenzione il blog del Senatore Paolo Guzzanti , gli interventi di sua figlia Sabina al no cav day di luglio, nonché il suo tour dello spettacolo satirico “Vilipendio” - che si sta svolgendo tutto’ora – a braccetto con gli interventi in giro nelle università italiane.
Prima di farvi da guida nel breve excursus che vi sto proponendo facciamo un passo indietro, un po’ di storia.
Sabina Guzzanti – Roma 1963 – è una comica e macchiettista cresciuta in programmi satirici italiani degli anni ’90: celeberrime e irriverenti le sue imitazioni che spaziano dai vip alla politica: Valeria Marini, Moana Pozzi, Cheguevara, D’Alema, Berlusconi; buddista e politicamente schierata a sinistra, Sabina negli anni riesce a riscuotere buoni consensi di pubblico come attrice teatrale,un po’ meno in campo cinematografico dove esordisce alla regia col narcisistico e malriuscito “Bimba” (2001), il più brillante e ben accolto “Viva Zapatero!”(2005) e ultimo nato “Le ragioni dell’aragosta”, flop ai botteghini che va ad aggiungersi al fiasco di titoli come “Troppo sole” e “Night Club” di cui Sabina fu interprete sempre negli anni ‘90.
Tralasciando ora i dati di botteghino -che esulano dal giudizio di qualità sul prodotto che un artista può presentarci – serpeggia in me la convinzione che l’oggetto della mia indagine in realtà stia cominciando a perdere colpi dal punto di vista intellettuale, autotrascinandosi in una spirale di falsi moralismi e cattivo gusto.
La figlia di Paolo Guzzanti “si ciba” degli elogi del suo pubblico,come il drogato si “nutre” delle le sue dose per evitare gli incubi provocati dalle crisi di astinenza,in un crescendo di sensazioni adrenaliniche e deliri che sempre meno hanno a che spartire con la consapevolezza della realtà.
Forse già nel 2002 - con “Giuro di dire la verità” - Sabrina cominciò a prendere coscienza di quanto potesse piacerle un vizio simile quando sul palco impersonò Oriana Fallaci.
Prendendosi gioco della terribile piaga che lentamente portò la scrittrice alla morte, rappresentò Oriana come una SS e rispose grottescamente a uno spettatore –sempre parodiandola - con parole che ormai tutti sappiamo.
Ma Sabina Guzzanti non si ferma: la paura di provocarsi una crisi d’astinenza è più forte di ogni altra cosa:
nel luglio di quest’anno incitata dagli applausi di migliaia di persone Sabina spara pallottole al vetriolo verso Chiesa, Pontefice, governo Berlusconi, il ministro Mara Carfagna con un repertorio di gesti ed espressioni che hanno riportato la mia mente –e non solo la mia- ai discorsi del balcone di Palazzo Venezia con cui Benito Mussolini infiammava il popolo assoggettato alla sua dittatura:un’Italia ancora provata dalla penalizzante situazione economico-sociale che la prima guerra mondiale le lasciò in eredità e che fu terreno ideale per l’instaurazione di un regime dittatoriale.
Per cercare di capire dove la mia critica volge cito ora Ambrogio Crespi da un articolo del suo Blog(www.clandestinoweb.com): “Opporsi a Berlusconi o non condividerne i metodi è un fatto legittimo […]ma se il nemico politico è Berlusconi perché si deve essere così ignobili da gettare fango su altri per raggiungere il proprio scopo?”
Sabina si è costruita un apparato pronto a sorreggere le sue calunnie, il suo finto moralismo ,la sua invidia e il suo razzismo nei confronti di una donna che meriterebbe di essere attaccata sul piano politico- trattasi di Ministro – invece che su quello della camera da letto.
Dove sono queste intercettazioni?
Me le dia “signora” Sabina,voglio leggerle, voglio aiutarla a giustificare il suo malcelato astio nei confronti di una donna bella,giovane e di cultura che – alla luce dei fatti, quelli documentabili -sta facendo il suo lavoro né più né meno dei suoi colleghi di governo.
Carfagna meriterebbe solo ed esclusivamente attacchi su questo piano, affondare di sciabola verso l’avversario con stoccate pregne di malignità denota solo l’invidia che Guzzanti prova nei confronti di una donna che ha potuto permettersi di fare un calendario:quasi a voler legittimare maschilisticamente l’equazione che una donna bella sia necessariamente una donna stupida, per passare poi al più pesante sillogismo che la stupidità porti ad essere meretrici.
Sabina gira per le università italiane parlando ai giovani di dialogo e non violenza.
Dialogo e non violenza,questi sconosciuti.
Le colpe morali di cui Sabina Guzzanti si sta macchiando sono gravi , e mi chiedo come sarà dipinta agli occhi dei posteri quando di lei (come di noi)non resterà piu nulla:
Era una comica?Una Povera di Spirito?Una simpatica macchiettista?Una cattiva maestra?Una brillante attrice?Un’invidiosa?
Ma soprattutto riuscirà la nostra eroina(bel giuochetto di parole) a uscire da questa spirale riuscendo ad avere la sua prima, vera,crisi d’astinenza che la porterà alla consapevolezza di tutti i suoi errori?
Io aspetto, magari si potrebbe fare ancora in tempo a mettere insieme i cocci di una carriera artistica che fino a pochi anni fa era di tutto rispetto. Forza, Sabina.
Amalia Stovanni
martedì 18 novembre 2008
OBAMA E LA VITTORIA DELL’IDEALISMO
Nuovo post sull'argomento principale di queste settimane: Barack Obama. Dopo aver sentito un'opinione di destra sentiamo un'altra campana, quella opposta. Tocca a Marco Piccoli illustrare la sua opinione sulle prove che dovrà affrontare il presidente degli Stati Uniti in pectore
“Se ancora c'è qualcuno che dubita che l'America non sia un luogo nel quale nulla è impossibile, che ancora si chiede se il sogno dei nostri padri fondatori è tuttora vivo in questa nostra epoca, che ancora mette in dubbio il potere della nostra democrazia, questa notte ha avuto le risposte che cercava.”
(Barack Obama, presidente designato degli Stati Uniti, discorso di celebrazione della vittoria elettorale)
Esordisce così, Barack Obama, nel suo primo discorso da leader degli USA.
Parole in grado di acuire la fermezza delle posizioni, delle formae mentis più diverse.
Da una parte, delineando forse un po’ sommariamente in due grandi categorie l’approccio di un individuo o di un elettore ad una netta soluzione di continuità, lo schietto pragmatismo del “Meno parole, più fatti.”
E dall’altra lo slancio di ciò che viene grossolanamente definito “idealismo”. Forse questa bipartizione è anche utile come vademecum nel discernere sul peso che una frase come quella del nostro premier sull’ “abbronzatura” di Obama (no comment..) può avere o meno.
Il secondo ordine di idee (in cui si riconosce chi scrive) parte dalla considerazione di quei dati, ritenuti per alcuni solo suggestivi orpelli, e non connotati fondanti la forza o la debolezza di una leadership (tra cui la razza di appartenenza), come diretti contenuti, elementi viventi di tangibile importanza.
Su questo è interessante notare il plauso mondiale che la vittoria di Obama ha riscosso.
Difficile, se non impossibile, individuare un ristretto spettro di concause di questo plebiscito. Tra di esse altrettanto difficile non inserire i disastrosi otto anni dell’amministrazione Bush, scanditi da un unilateralismo ad oltranza non solo in politica estera (si pensi al Protocollo di Kyoto) e da una discutibilissima politica finanziaria, a detta di molti analisti causa diretta della crisi in corso.
Tale plauso ha sicuramente una forte componente mediatica: un presidente nero, giovane, laureato ad Harvard porta con sé una carica di novità anche solamente apparente che non può non colpire.
Ma si comprende la ragione di un tale successo esaminando complessivamente la vicenda delle elezioni appena tenutesi, e del confronto sul piano dei contenuti tra i due candidati, che all’indomani delle votazioni hanno dato una lezione di stile e di cavalleria alle democrazie di tutto il mondo (in primis alla nostra).
Colpisce in particolar modo scoprire che nei primi mesi della 110° legislatura, i senatori Obama e McCain hanno presentato congiuntamente una proposta di legge sul contenimento del Global Warming, un disegno che avrebbe impegnato gli USA a ridurre di 2/3 le emissioni serra entro il 2050. Colpisce tanto più se si riconosce la questione ambientale come uno dei temi in cui Democratici e Repubblicani presentano la più netta differenza di vedute. Forse alla luce di questo dato l’eccezionale affluenza appare meglio spiegata come un naturale rigurgito di insoddisfazione per il presidente uscente che non come sintomo di entusiasmo per la candidatura del neoeletto e conseguente richiamo alle armi dello schieramento a lui avverso.
Torniamo alla nostra bipartizione: quanto una figura come quella di Obama può assurgere a quel ruolo che il mondo invoca? In altre parole: un presidente afroamericano è, di per sé stesso, una conquista ed una prova di maturità per l’occidente?
Personalmente ritengo di si, per due ragioni:
- La figura di Obama non si discosta da un modello “manageriale” di reperimento e gestione del consenso: la sua è stata la campagna elettorale più costosa mai sostenuta; addirittura sul suo sito troverete tutto il suo catalogo di merchandising. Il che può voler dire che l’elettorato statunitense non rinnega i metodi politici tradizionalmente propri ma confida in una loro mera reinterpretazione. La componente misteriosa che divide “idealisti” e non, è in grado di richiamare gli elettori: ricchezza, questa, indiscutibile per ogni democrazia
- La società americana, e di conseguenza la politica di essa, è molto legata ai valori dell’integrità e della morale (si pensi alla pena di morte, considerata una vera e propria retribuzione morale nei confronti dell’individuo). La scelta elettorale, più che in altre esperienze moderne, si giustifica in un’ottica spesso slegata dal complesso di decisioni ed ispirata da un determinato modus di porsi e di intendere la funzione pubblica. Di conseguenza una candidatura innovativa e prorompente (e vincente) è sintomo di un ampliamento di vedute, di un rinnovamento culturale alla base, più progressista e pluralista.
In conclusione, la presidenza di Barack Obama, al di là delle prospettive (di ogni genere: dall’economia e alla sicurezza internazionale al clima) che può offrire, rappresenta una svolta, una rinfrescante frattura con il passato. Le parole di solennità a cui è uso, il superamento della mentalità del sacrificio dell’opportunità dei mezzi per il fine, l’accettazione di un ideale politico ed umano più alto: tutto questo oggi trova residenza a Washington. E, a differenza di prima, nessuno potrà definire “utopico” tale disegno: Obama sembra avere tutte le risorse per dare filo da torcere anche ai più scettici.
domenica 16 novembre 2008
IL MEZZOGIORNO E IL MEDITERRANEO
Oggi abbiamo un ospite di riguardo. L'onorevole Gianni Pittella, europarlamentare del PD. La carriera politica di Pittella è costellata da battaglie a favore dell'Europa e del Mezzogiorno. La sua sensibilità per questi temi ci ha portato a chiedergli un intervento su questi temi. Ci ha risposto con questo mirabile pezzo sul sud e il mediterraneo, indicando delle soluzioni per rilanciare "l'asse Mezzogiorno-Mediterraneo", cosi ricco di potenzialità ma da sempre afflitto da atavici problemi.
Alfredo Reichlin sulle colonne de "l'Unità" e Predrag Metvejevic su "Il Mattino" del 30 settembre hanno offerto un contributo di riflessione importante sui temi del Mezzogiorno e del Mediterraneo che mi auguro aprano finalmente un confronto di respiro politico e culturale slegato da una visione emergenziale.
L'analisi di Reichlin è un'istantanea impietosa e vera della condizione socio economica del Mezzogiorno (e mi chiedo cosa accadrà quando la stagflazione si trasformerà in recessione anche per l'effetto domino della tempesta finanziaria americana).
Ed è anche un autorevole richiamo ad una maggior attenzione, anche del Pd, alla durezza della crisi meridionale ed alla sua "crucialità" ai fini della ripresa del Paese. E Metvejevic scrive del Mediterraneo, mare trascurato e incapace di diventare progetto, e di un'Italia e di un'Europa che crescono fuori dalla loro culla. La mia opinione è che non esista una via di uscita credibile alla crisi del Mezzogiorno, senza che sia identificata una sua "funzione" utile all'Italia e preziosa all'Europa. E questa funzione è indissolubilmente legata al Mediterraneo. Del Mediterraneo il Mezzogiorno d'Italia può essere la piattaforma logistica. Il Governo italiano si faccia promotore di un Tavolo interistituzionale per il Mezzogiorno. Questa è la mia proposta. Un Tavolo per il confronto tra i vari livelli istituzionali per varare un piano finalmente moderno e razionale per l'infrastrutturazione del meridione. Possiamo trasformare il Mezzogiorno in una grande piattaforma logistica del Mediterraneo intercettando le navi che provengono dall'Oriente e dall'Africa e che oggi fanno scalo in altri Paesi come la Spagna. Per fare questo è necessario rendere idonea la nostra rete a partire dal porto di Gioia Tauro, dall'intera rete portuale e infrastrutturale meridionale, a cominciare dall'alta velocità ferroviaria e soprattutto coinvolgere le Regioni e la deputazione italiana al Parlamento europeo per concentrare una parte delle risorse europee e nazionali su questo obiettivo.
Del Mediterraneo il Mezzogiorno può essere la piattaforma per lo sviluppo e la valorizzazione dell'energia da fonti alternative. Del Mediterraneo il Mezzogiorno può essere il motore progettuale nel campo della ricerca, dello sviluppo tecnologico, della cooperazione, dell'Università del Mediterraneo.
Ricerca e sviluppo tecnologico rappresentano l'ombrello sotto il quale sviluppare prodotti e programmi destinati tanto a migliorare la sicurezza dei cittadini europei quanto a combattere i cambiamenti climatici. Funzionali a questi obiettivi sono i finanziamenti del Settimo Programma Quadro ed è bene ricordare che l'industria italiana ricopre posizioni di rilievo in settori di punta che vanno dalla sicurezza dei porti alle celle a combustibile, dai satelliti al trasporto aereo pulito, ambiti importanti considerato che la riduzione delle emissioni è legata anche allo sviluppo di energie alternative. Ma L'Europa sta "investendo" anche nella sicurezza e nell'ambiente, elementi centrali di uno dei grandi programmi tecnologici su cui punta l'UE per i prossimi anni: il GMES (Global Monitoring system for Environment and Security), un sistema concepito per fornire ai decisori europei le informazioni necessarie ad affrontare le crisi legate all'ambiente ed alla sicurezza con cui si dovrà confrontare l'Europa nei prossimi anni. Il contributo del GMES, nell'area mediterranea, può essere particolarmente importante laddove consideriamo i servizi legati all'ambiente marittimo. Catastrofi ambientali dovute ad eventi naturali, incidenti o azioni illegali richiedono un impegno condiviso da tutti i paesi dell'area.
Ma ci sono anche altre iniziative che potrebbero rilanciare l'asse Mezzogiorno-Mediterraneo come ad esempio:
- creare un fondo di investimenti per lo sviluppo del Mediterraneo a partire dal fondo apposito di cui è dotata la Bei;
- istituire un osservatorio delle popolazioni delle emigrazioni e della regolazione dei movimenti delle persone;
- favorire le cooperazioni trasversali al livello delle regioni e delle città (con) la creazione di un consiglio permanente delle regioni mediterranee, che sarebbe l'interlocutore privilegiato delle istituzioni europee;
- la creazione di un agenzia di formazione professionale per favorire una immigrazione qualificata attraverso un programma di formazione degli ingegneri e tecnici specializzati nelle energie rinnnovabili;
- creazione di un programma Erasmus mediterraneo, a termine, la creazione di una Università mediterranea a pieno titolo, che potrebbe svilupparsi più avanti anche in molte città del nord e del sud;
- istituire una federazione che riunisca le fondazioni culturali del mediterraneo.
Perché ciò si realizzi, tuttavia, occorrono tre condizioni:
- un'Europa che smetta di concentrare le sue azioni lungo l'asse est ovest e comprenda pienamente la sua "convinzione" nell'essere "mediterranea"
- una classe politica italiana che riconosca l'utilità del Mezzogiorno, il suo valore prezioso per l'intero Paese e per l'Europa, legato ad una funzione che svolge appunto nel Mediterraneo;
- una classe dirigente meridionale meno dedita alle faccende della cucina domestica e capace di misurarsi su una grande sfida. Su quest'ultimo punto io dico iniziamo da noi del Partito democratico.
La fondazione Italianieuropei e Mezzogiorno Europa aprendo una sede di lavoro comune a Napoli potranno certamente darci una mano per riportare il gusto del progetto, dell'elaborazione e della sfida su un terreno così decisivo per il Pd, per il Paese e per l'Europa.
venerdì 14 novembre 2008
Alitalia, un'altra porcheria Italiana
Oggi parliamo di Alitalia. Davide ci espone la sua opinione sul problema piloti
Vi voglio raccontare una storiella: nell'anno domini 2006, allorquando facevo parte di un team di giocatori di softair, frequentavo assiduamente un forum considerato il portale di riferimento per gli appassionati.
Fra i tanti giocatori che quotidianamente postavano ne ricordo in particolare uno che era famosissimo per le frequenti spese riguardanti nuovo e costosissimo materiale, che appena veniva acquistato era sottoposto a reportage fotografico ed annessa pubblicazione di un post sul forum.
Dopo mesi e mesi di sbavate su quei post, ad uno dei membri del forum venne la felice idea di chiedere a questo tizio che lavoro facesse, ipotizzando scherzosamente per lui un'attività di spaccio di stupefacenti!
Ebbene, il soggetto in questione era un pilota Alitalia, neanche un Comandante (grado per il quale se non erro ci vogliono almeno 20 anni di servizio); beandosi della sua ricchezza, confessò di guadagnare all'incirca 10.000 euro al mese netti, più bonus per straordinari che ogni tanto faceva ben volentieri visto che con i suoi viaggi intercontinentali poteva guadagnare e recarsi gratis nei paesi dove avrebbe acquistato il materiale di gioco, fra l'altro bypassando la dogana italiana; il tizio raccontò una vita beata, piena di tempo libero, e ringraziò il cielo di esser stato RACCOMANDATO per l'ingresso nella nostra compagnia di bandiera, che a sua detta paga gli stipendi più alti d'Europa.
Orbene, veniamo ad oggi.
Intensi scioperi, aereoporti bloccati, figure di merda con il mondo intero... I sindacati non c'entrano, hanno firmato... Sono i piloti a fare l'ira di Dio, la categoria che annovera fra le sue fila il protagonista del mio racconto.
Le ragioni della loro protesta sono l'insoddisfazione nei confronti del nuovo datore di lavoro, Roberto Colaninno, un imprenditore di modeste qualità secondo le loro attese (non sto qui a sciorinare curriculum, basti solo sapere che è uno che ha preso il gruppo Piaggio mentre era sull'orlo della catastrofe e l'ha reso uno dei migliori produttori mondiali, fra l'altro contrastando efficacemente l'ondata di scooter cinesi che ha invaso il mercato); i tagli e la fine degli sprechi li "mortifica come categoria"...
Io mi chiedo, e sarò banalissimo, ma me lo chiedo... Ma un operaio che guadagna 1000 euro al mese e a stento ci arriva a fine mese (o non ci arriva affatto), proporzionalmente a quella che è la protesta dei piloti cosa dovrebbe fare? Se chi guadagna 10 volte di più e si lamenta fa tutto ciò, chi guadagna 10 volte meno e lavora 1000 volte di più cosa dovrebbe fare?
Ad ogni modo, la domanda che mi faccio è la seguente: ma perchè non licenziano tutti quanti, bloccano la compagnia per 10 giorni e fanno nuove assunzioni?
Perchè i nuovi proprietari non tolgono la presunzione a questa casta e perchè i nuovi dirigenti non si tolgono la soddisfazione di far tornare strisciando quei piloti che ieri e oggi hanno messo in ginocchio il traffico aereo italiano?
E' un post di domande, l'ho notato...Non ho le risposte, ma spero che qualcuna di queste possa nascere dalle vostre riflessioni ed opinioni.